Inizio a scrivere mettendo sul piatto un tema che mi appassiona e mi (ci) riguarda da vicino. Ma dove stiamo andando?… buona lettura.
Dove va la psicologia?
Entro da Feltrinelli a Udine, è un po’ che non ci vado, complice la pessima abitudine di acquistare libri su internet, modo facile e veloce ma che ti tiene lontano dalle librerie, dove puoi incontrare gente, vedere le novità, farti un’idea di come va il mondo.
Vado alla sezione “Psicologia”. È il mio mestiere, naturale che mi ci scappi l’occhio. Guardo, e resto allibito. Il primo titolo che vedo (in posizione strategica immagino, visto che c’è chi studia come vendere) è “Falli soffrire, gli uomini preferiscono le stronze”. Poi un altro: “Il principe azzurro è un bastardo”; poi un sacco di titoli sul come farla godere, come far bene l’amore, sul come farlo impazzire eccetera. Cerco di riprendermi, ma ciò che vedo mi colpisce ancora di più: mi ritrovo infatti osservato dal faccione rassicurante di Morelli che come i funghi nel bosco compare da ogni dove e mi guarda seducente , proponendomi ricette sul come vivere felici, raggiungere la felicità, amarsi e amare felicemente, crescere figli felici e rendere felice anche il mio gatto.
In secondo piano qualche libro della Cortina, fortunatamente ancora attestata su cose interessanti, e il libro rosso di Jung, che messo lì sembra diventato rosso per la vergogna di trovarsi suo malgrado in simile compagnia.
Non li acquisterei mai, ma sono libri da rispettare, ci mancherebbe altro, nel mondo c’è spazio per tutti. Ma che c’entrano con la Psicologia? Per un momento mi viene la tentazione di andare dal direttore e chiederglielo, proponendogli di istituire la sezione “Psicocazzate” o meglio “Pseudopsicocazzate” e metterci lì tutta quella roba. Irritato e vergognandomi un po’ del fatto che sono uno psicologo, continuo il giro, e arrivato alla sezione “Scienze” la seconda sorpresa della giornata: tra alcuni tomi di matematica e di fisica quantistica trovo un testo di G. Civitarese, psicoanalista, sulla violenza delle emozioni e il Fonagy con il suo celebre “La mentalizzazione nella pratica clinica”. Cose importanti, di Psicologia clinica. Ma perché messe lì? Non sono “Psico.-”? sono ormai ritenute troppo difficili o barbose?
Mi si obbietterà: Feltrinelli non è mica la libreria dell’Istituto di Psicologia! È vero, e ognuno fa quello che ritiene giusto, però è un segnale importante, di una tendenza. Di come la Psicologia è percepita e di come si propone al pubblico: come una scienza (si può ancora dire?) che sa come raggiungere la felicità, superando o evitando la sofferenza. È un mito che la cultura occidentale insegue da tempo, e che per acchiapparlo ha affidato le sue speranze prima alla religione e poi alla scienza, fino ad un paio di decenni fa incarnata nella medicina. Recentemente, caduta la speranza prima nel prete e poi nel medico, il testimone è stato raccolto dallo psicologo.
È vero, ci ha dato notorietà e questo è un bene. Ma la Psicologia, almeno una certa Psicologia, come ha affrontato la sfida? Si è accomodata nei salotti mediatici e si è accodata ad una cultura dominante che punta al raggiungimento individualistico della felicità immediata, e proponendo ricette che il più delle volte non vanno oltre la sconcertante superficialità del “volersi bene… prendersi il proprio tempo…accettarsi… amare…”. Sono frasi di plastica, fatte apposta per riempire le conversazioni Trendy tra amiche dal parrucchiere, mentre si sfoglia Psychologies: “Mi sento un po’ depressa… ma mia cara, forse perché non ti ami abbastanza… hai ragione, lo dice anche il mio psicologo…devo imparare ad accettarmi per come sono… magari potresti fare un corso sull’affermazione di te stessa, c’è un pacchetto promozionale in una Beauty- Farm che conosco, così carina… ah, come sei empatica… mi sento già meglio”.
Ma è questa la Psicologia? Di certo non la mia.
Il mio parere è che si sia presa una deriva pericolosa, e che il successo abbia dato alla testa a parecchia gente. Basta guardarsi in giro. Giornali, trasmissioni televisive e radiofoniche sono zeppe di psicoguru pronti a dare le ricette giuste per la felicità oppure a dire la loro psicociancia su qualsiasi cosa succeda. E con tristezza constato che nessuno gli fa notare che hanno appena detto – che Dio abbia in gloria Fantozzi e la corazzata Potemkin – “una cagata pazzesca!”. Siamo di moda al giorno d’oggi, e questo è seducente, ma attenzione: da questa parte non andremo molto lontano. Prima o poi, com’è già successo per il prete e per il medico, verremo messi da parte anche noi, perché il bluff sarà scoperto. Non c’è strada che porti alla felicità immediata, quindi anche noi falliremo, e avremo perso la grossa occasione di levarci a voce “contro”, contro una sterile cultura dominante fondata sul godimento momentaneo e superficiale, la cui progettualità non va oltre il momento presente.
Attenzione: già le prime avvisaglie si vedono: sempre più spesso lo Psico.- sta lasciando il passo al Neuro.- e già altre figure sono lì impazienti e bramano di raccogliere il testimone che ora è in mano nostra: pseudofilosofi, counselor di varie estrazioni, coach di variopinto genere. I primi segnali già si vedono: nella via dove ho lo studio a Udine ad esempio hanno aperto un centro dove, contro lo stress della vita moderna, riequilibrano l’Aura… La tendenza verso il basso (nel senso del semplificare le cose e millantare di avere la giusta pozione da offrire, basta passare prima alla cassa…) mi pare il movimento di fondo.
Arriveremo ai Guru. Ma non quelli veri, che quelli non ti rispondono mica, ma quelli di plastica, molto new age.
Allora facciamo la rivoluzione! Per rivalutare la psicologia. Un movimento rivoluzionario che fa lobby sulle librerie perché tolgano quei libri, che scoraggino o mettano in ridicolo i vari psicoguru che continuano a sparare cazzate. Un movimento che restituisca alla Psicologia la dignità che aveva, che sta perdendo e che merita di riconquistare.
Mi si passi su questa linea anche una critica ad alcuni giornali “seri” del settore: pagine sull’essere empatici, pensare positivo, prendersi il tempo per pensare, amare, leggere eccetera… forse sarebbe meglio evitarli. Non perché non sia buona cosa prendersi il tempo, ma certo che è buono; perché, c’è qualcuno che la pensa diversamente? È necessario ricordarlo? Meglio evitarli perché non è lì e, soprattutto, non è così.
Ho finito, ho detto ciò che pensavo. Forse un po’ arrabbiato e con toni esagerati, ma il tema tocca da vicino ed è appassionante, ci tocca tutti da vicino. Grazie a chi mi ha seguito fin qui.
Bell’articolo, peccato che l’abbia scoperto un po’ tardi. Ho riso in alcuni passaggi, devo ammetterlo, ma in alcuni non so, mi perdevo. Comunque adesso che ho scoperto questo blog lo frequenterò più spesso, sperando di trovare pensieri sempre più interessanti.
Credo che piu’ che fare la rivoluzione nelle librerie, questa andrebbe fatta nelle universita’ e nella formazione.