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I porcospini di Schopenhauer 2.0

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Ci metto il copyright, è una metafora che ho costruito e mi pare efficace: dove la discuto suscita sempre interesse e dibattito.

Il noto filosofo pose il dilemma del porcospino: affermando che tanto più due esseri si avvicinano tra di loro e tanto più si feriranno a causa degli aculei sulla schiena. L’analogia con gli umani porta a pensare che tanto più ci si avvicina all’altro tanto più è alto il rischio di venire feriti.

La metafora però presuppone che prima esista il soggetto che poi entra in relazione con l’esterno che era data per scontata ai tempi del filosofo (non mi dilungo qui, rimando alla lettura dell’intervento che ho inserito nel post precedente). Se si accetta per buona l’ipotesi dell’unitarietà del soggetto, produttore attivo dell’esperienza che sta vivendo allora il discorso non regge più.

Oggi si deve pensare differente: siamo piuttosto come porcospini che hanno sì gli aculei, ma per dentro. Fuori, a contatto con l’esterno e con gli altri c”è una membrana sensibile che ricerca la vicinanza, il contatto. ma la pressione della vicinanza causa il contatto interno con aculei (nostri) con cui ancora non siamo riusciti a fare i conti e ammorbidirne le asperità.

In altre parole: non è mai l’altro a ferirci. Ciò che ci fa soffrire sono tutte cose nostre che si muovono e toccano le parti più interne, attivate dalla pressione causata dal contatto con l’altro. La sofferenza così cambia significato e diventa un segnale: qualcosa del tipo “vacci piano, perchè a quelle vicinanze non sei ancora pronto, ci devi ancora lavorare su..”.

(nella foto: un graffito di ROA, noto street artist britannico, colta durante un recente viaggio)

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