Vi è morto il gatto e siete un po’ giù? Fate attenzione a non dirlo ad uno psi.- (.-chiatra; .-cologo; .-coterapeuta) che ha giurato fedeltà al DSM. Per chi non lo sapesse è la guida diagnostica di riferimento degli psichiatri americani, adottata (come tante altre cose…) praticamente da tutto il mondo occidentale. Periodicamente ne vengono fatte delle revisioni, perché il concetto di malattia, e quindi di diagnosi, cambia nel tempo e tutto sommato è lo specchio del suo tempo. Basti pensare, ad esempio, che in una edizione di alcuni decenni fa l’omosessualità vi era contenuta come categoria patologica, cosa che oggi (quasi) nessuno degli addetti ai lavori, grazie al cielo, si sognerebbe più di considerarla tale.
Nella edizione che uscirà il prossimo anno però ci saranno importanti modifiche, che vanno nella direzione di ampliare abbondantemente il numero di etichette diagnostiche, abbassando drasticamente la soglia della sofferenza, che sempre meno viene intesa come parte normale del vivere ma patologia da curare.
Secondo va letto ancora una volta come un segno dei tempi: è l’espressione di una società adolescente e che non si sa pensare oltre il momento presente, che insegue la chimera della felicità e che teme la sofferenza, esiliandola dai suoi confini. Tuttavia fa un certo effetto sapere, come nell’articolo che vi raccomando di leggere qui sotto, che circa il 70% degli psichiatri che lavorano al DSM ha legami con l’industria farmaceutica (più patologie più farmaci..).
Leviamoci a voce “contro”, ricordandoci ogni giorno che la sofferenza fa parte del vivere, e che vivere significa gioire quando c’è da gioire e soffrire quando c’è da soffrire.
Consiglio a tutti il bell’articolo recente sull’argomento. Lo trovate qui: http://lettura.corriere.it/ma-non-siamo-tutti-matti/