Orientarsi con il Jazz

 

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Mi è capitato in mano questo libro. Da tempo il Jazz è metafora utile per le filosofie della mente e le neuroscienze, e diversi scrittori (Murakami), filosofi (Arnold Davidson) Jazzisti (Wynton Marsalis) o neuroscienziati (Francisco Varela, pace all’anima sua) esplorano quel territorio, di linee singole che dal basso si cercano, si intrecciano e si armonizzano per dare vita a una musica unica, irripetibile che se verrà suonata nuovamente sarà comunque diversa. Non conosco molto il Jazz, ma il suo approccio alla musica mi piace.

Cappelletti mi è piaciuto. Mi ha offerto buoni spunti per riflettere su come ostacolare la follia dilagante di una larga parte del vivere contemporaneo, fondata sull’unico pilastro dell’Io-mio. Buono da leggere anche per i non appassionati al genere fino a pagina 120 circa, poi si entra nello specifico.

Riporto un bel passaggio:

L’improvvisazione in musica non può ridursi a mezzo per esprimere noi stessi, la nostra interiorità. Se intesa in modo così riduttivo mostrerà per intero i suoi limiti e svelerà, nei casi migliori, vuoto e sterile narcisismo, nei peggiori coazione a ripetere e noiosa e manieristica ripetizione di formule.. (..). Solo forzando i limiti del nostro linguaggio fino a farlo diventare altro, qualcosa di molto simile al silenzio (Paul Bley), al ruggito del leone (John Coltrane), alla scarica di energia di un fulmine (Charlie Parker), alla violenza di una cascata o di una battaglia (Cecil Taylor), è possibile inventare un nuovo linguaggio in grado di entrare in relazione con quello che esiste nel mondo. Solo così la musica può divenire “cosmo” ed è possibile ritrovare quella apertura al mondo che oggi, nella società globalizzata, appare stranamente problematica e carente, fino al punto di convertirsi in assuefatta indifferenza a tutto.

Io, mio, la mia interiorità, i miei figli, la mia casa, il mio lavoro. Fuori tutti, chi tocca gli sparo (di notte e non solo..).

Cito un altro passaggio, apparentemente in contraddizione con il precedente:

C’è un modo infallibile per capire se si è autentici jazzisti. Se non ci importa niente del pubblico, se i suoi gusti, le sue esigenze, le sue aspettative sono per noi meno che nulla allora possiamo aspirare a sentirci tali (…) In nessun caso il jazzista autentico si piegherà ad assecondare i gusti del pubblico o a farsi deprimere dalla sua disapprovazione. Al contrario, troverà una specie di orgoglio nell’andargli contro.. (…) Il Jazz è musica profondamente onesta, rifiuta la possibilità della manipolazione e dell’equivoco, che sono le chiavi del successo nella nostra epoca. Quello che conta è scoprire la verità, sui noi stessi e sul mondo, a qualsiasi livello si ponga, e per farlo occorre mettersi in gioco senza trucchi e contraffazioni…

Ma come, potrebbe obiettare qualcuno: si parlava di connessione col mondo e invece qui il musicista se ne frega del pubblico?

Non c’è alcuna contraddizione. La trappola in cui si cade e si scivola nell’individualismo sta nella confondere il partire da sè, radicato nel proprio baricentro ma riconoscendo che “io sono” solo nel “noi siamo” e il centrarsi su di un sè che viene prima, isolabile dal contesto, che inevitabilmente porta a sentirsi il centro del mondo e pretendere il riconoscimento da parte dell’altro.

Solo se radicato nella mia linea di vita, impegnato a coltivarla e farne una cosa bella, ho l’opportunità di fare del mondo un posto migliore per tutti e ho addirittura la possibilità di incontrare l’altro. Altrimenti quella possibilità l’ho già persa in partenza, affannato nell’inseguimento di riconoscimenti e applausi.

Ci sono già passato e tornerò spesso sul punto, perchè è la chiave. E, come dice il saggio (Antonio Albanese..) Se hai la chiave sei il padrone, entri ed esci quando vuoi; però devi sapere qual’è la porta giusta, altrimenti sei solo un pirla con la chiave..

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