Nuovi (mediocri) demoni

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Ricercando sul tema della sofferenza ho incontrato questo libro. Traccia una linea storica molto interessante da una concezione del male (e dello star male) “radicale” ad una contemporanea “normale”.

La prima è quella cui eravamo abituati, sostenuta dalla visione dualista bene-male, vita-morte, dove la sofferenza è tutto ciò che priva di vita e la vitalità. La seconda è quella di un male (e sottolineo di nuovo, star male) collegato al conformismo, al non pensare, alla superficialità di una vita che non riesce a mettere al centro nient’altro che la sicurezza della sua sopravvivenza. Questo è un passaggio cruciale, e per il nostro tempo quantomai attuale e da esplorare.

In fondo la Forti non dice molto di nuovo, ma intreccia in modo sapiente il pensiero di due filosofi a me molto cari: la Arendt della “Banalità del male” e il Foucault del “Coraggio della verità”.

Cito due passaggi, che da soli meritano lettura e rilettura:

il primo è della Arendt: “Il male ha senza dubbio a che fare con il deterioramento di questa capacità [di pensare]. I più grandi crimini a cui oggi abbiamo assistito sono commessi da coloro che non ricordano, semplicemente perchè non hanno mai pensato … Ciò che chiamiamo persona, in quanto diverso da un semplice essere umano che può essere chiunque. è in realtà ciò che emerge da quel processo di radicamento che è il pensiero“.

Il secondo è un richiamo a Foucault: “la sfida dell’ultimo Foucault si articola nella ricerca di una auto-determinazione possibile che, in contrasto nto con l’etero-determinazione del soggetto cristiano e obbediente quanto con l’assolutezza dell’autonomia kantiana, eviti il riferimento a una legge universale e necessaria. L’autonomia non va infatti perseguita nei termini di una auto-affermazione ma in quelli di una continua possibilità di revoca del potere che l’autorità dell’altro – maestro, direttore, Dio sovrano o semplicemente contesto politico-sociale pretende di esercitare su di noi. In questo senso l’etica della cura di sè è in prima istanza la rivendicazione della libertà, di una libertà intesa come poter essere altrimenti da tutto ciò che pretende di essere necessario, senza davvero esserlo”.

Provo a riassumere con uno slogan: “Il devo non esiste. è tutta una questione di scelte”.

Temi sorpassati? non credo, anzi mi pare siano quantomai attuali. E’ passato pochissimo tempo da quando ho letto un’intervista al bancario che ha proposto al sottoscrittore che poi si è suicidato in seguito al fallimento dell’Istituto, un documento in cui in pratica si accettava l’altissimo rischio dell’investimento (vero che poteva leggere, ma quanti di noi leggono tutte le clausole dei contratti bancari o assicurativi?)

In quell’intervista il bancario sosteneva che lui non aveva colpe, e che aveva dovuto fare così, su ordine esplicito dei superiori. Non entro nel merito e naturalmente non giudico, e so che il paragone può sembrare aberrante e fuori luogo, ma come si fa a non ricordare che erano le stesse argomentazioni di Eichmann quando gli hanno chiesto di rendere conto di Auschwitz?.

E se invece tutti si assumessero in prima persona la responsabilità del loro agire? In ogni singola, piccola azione quotidiana.

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