Detto così sembra provocatorio, e in parte è vero: l’intento è di porsi contro l’abuso di questo termine e di tutto ciò che veicola, a partire da una certa etica della felicità che ha contagiato larghe settori della filosofia e della psicologia.
Non l’empatia di Rizzolatti, che ne parla dentro altri e ben importanti contenitori, ma contro una certa Folk Psychology che si fonda sull’idea che si possa sentire, entrare dentro il vissuto dell’altro.
Non ci credo. Ognuno vive il mondo a partire da sè e tutto ciò che prova è roba sua. L’altro? esiste, ma non posso sentire cosa prova lui.
Io non sono l’altro, ma è anche vero che io non sono Io (nel senso solipsistico di un Io che esiste indipendente).
Io sono l’altro fatto mio (Michele Minolli è l’autore dell’affermazione, in cui mi ritrovo pienamente).
Invito, per farsi un’idea “contro”, alla lettura di questo articolo:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2015-06-21/nei-tuoi-panni-no-grazie-081408.shtml?uuid=AC8QsRE
Come definisco ciò che è IO? è come definisco ciò che è ALTRO? e dove è il confine?Perche’ essere empatici e diventato così importante, qualsiasi cosa ciò voglia intendersi nella mente di chi lo pensa?