La popolarità del male

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Già la Arendt ci aveva aperto gli occhi sulla pericolosità di un male che sta nelle pieghe dell’ogni giorno, di ogni indifferenza, ben più pericoloso dei mostri che girano per le nostre strade. (per chi non ha mai letto il celebre “la banalità del male” è una buona occasione per prenderlo in mano).

Oggi però siamo andati oltre; è tra noi, è diffuso, fa paura. E’ una nuova mutazione antropologica? Come si può ripensare al male davanti a quello che sta succedendo? cosa si può fare? Ognuno è chiamato ad interrogarsi, nessuno può dirsi escluso.

Lo squilibrato di turno, incapace di accettare la fine di una relazione vorrebbe uccidere la donna. Non la trova, così uccide la figlia, per poi togliersi la vita. Fin qui è cronaca, durissima, davanti alla quale, purtroppo, i più si stanno abituando.

La novità è la reazione della madre, che il giorno dopo accetta un’intervista in TV.  Perchè lo fa? Una reazione ad un dolore sentito eccessivo e quindi per una ricerca di condividerlo? Un tempo avrei pensato così. Oggi temo che in realtà non ci sia nessun dolore dietro da affrontare, eccetto il terrore di un vuoto che si tenta di riempire con gli occhi di chi la guarda.

Da leggere il bell’articolo comparso su “Repubblica” che si trova qui sotto. E pensarci su, interrogarsi. Che ognuno che è ancora vivo nel suo piccolo si adoperi perchè queste cose non succedano. Il male è dentro, è un cancro che mangia dall’interno. Dentro chi in TV c’è andata, per la quale non trovo sensate parole. Ma soprattutto dentro quelli che l’intervista l’hanno guardata, magari sentendosi molto empatici e pronti ai peggiori pensieri per questi malvagi squilibrati, non accorgendosi nemmeno che sono proprio loro che li creano.

La voce del dolore

 

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