Per una società orizzontale, che è meglio. Questa è imbevuta di verticali, dove agli altri viene spesso e (mal)volentieri attribuita maggiore importanza o peso, generando così senza fine dispositivi di potere, dove uno dirige e l’altro è diretto. così quando uno va da un consulente (un medico, un parroco, uno che ne sa qualcosa di più su un argomento qualsiasi) spesso lo mette su un piedistallo e si pone in modalità reverenziale, invece di ricordarsi che quel consulente è lì al suo servizio e che al centro dell’interesse c’è lui. Naturalmente il lato oscuro della medaglia è la delega della responsabilità del proprio vivere, che per moltissimi purtroppo resta e forse resterà per tutta la loro vita, un miraggio desiderato ma irraggiungibile.
Anche molta psicoterapia naturalmente affonda le radici in questo terreno, basti pensare alle analogie che moltissimi fanno con l’analista-Virgilio, o Psicoilluminati mediatici che son lì a parlarci ancora di Telemaco e della scomparsa del padre. Sono metafore facili da dire perchè di facile presa, e seduttive da agire perchè forniscono immediati strumenti per sentirsi qualcuno-che-fa-qualcosa. Purtroppo sono oggi riprese a piene mani, in un gioco al ribasso, anche da larghe frange di counselor, filosofi e trainer che sull’ assunzione a sè della delega che viene loro offerta si sono andati a strutturare.
Questo libro va nella direzione contraria, merita i soldi e il tempo spesi per leggerlo e dà anche segnali confortanti, soprattutto nella parte dedicata alle nuove generazioni.
Un piccolo assaggio:
“Il lavoro che ci siamo proposti di fare è quello di contestare la logica verticale che sta dietro all’accattivante narrazione della perdita dei padri come ragione recondita dell’infelicità dei singoli e delle disfunzioni sociali. E all’appello ad autorità paternali, magari buone e che vogliono il bene dei sottoposti, abbiamo opposto il principio individualista della stima e cura di sè, della responsabilità che nasce e si sedimenta quando le persone sono educate a vedersi e vedere gli altri come uguali. Non è la fine della figura del padre che ci interessa, ma la surrettizia creazione di surrogati di autorità paterna che il paradigma del padre favorisce in una società che è comunque orizzontale. (..) Quel che ci interessa mettere in luce discutendo la tesi popolare della fine dei padri è come questa poggi su una visione dei rapporti umani, a partire da quelli affettivi e intimi, improntata alla conservazione di relazioni verticali a dominanza maschile, e non alla formazione di persone autonome, disposte e capaci di disincagliarsi da ormeggi costrittivi e prendere in mano la responsabilità delle loro scelte“.