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Corso sulla Teoria dell’Io-Soggetto

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Francesco Dettori è uno bravo. Non solo nella sua pratica psicoanalitica, ma anche nella ricerca teorica. E’ sempre un piacere trovarmi a discutere con lui. E’ anche uno dei più vicini collaboratori di Michele Minolli, figura che chi mi ha letto fin qui già conosce. A partire dal pensiero di quest’ultimo Francesco ha organizzato un Corso di specializzazione di qualità, che quindi faccio conoscere anche in queste pagine.

Tutte le informazioni si trovano qui:

http://sipreonline.it/corso-introduttivo-alla-psicoanalisi-della-relazione-fondata-sulla-teoria-dellio-soggetto/

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Contro ogni fondamentalismo 2

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da leggere e rileggere.

E dopo diffondere.

Persone come lui sono la speranza più bella che l’occidente possa mai riuscire immaginare.

https://www.lastampa.it/2015/11/17/cultura/opinioni/buongiorno/non-avrete-il-mio-odio-EI6SBX0RvhF4Gg0SGFH4bO/pagina.html

 

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Contro ogni fondamentalismo

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Contro ogni fondamentalismo e ogni intolleranza (ma anche contro la tolleranza).

E contro l’ignoranza e chi ci marcia su. Io ho firmato: https://www.change.org/p/radiazione-di-maurizio-belpietro-dall-ordine-dei-giornalisti-odglombardia-belpietrotweet

e se vivessi a Parigi risponderei all’invito di uscire di casa, senza paura.

Ce ne saranno ancora, teniamoci forte.

Ma finchè siamo vivi, viviamo. Insieme.

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Sono il mio connettoma?

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Già nel finire del secolo scorso Gregory Bateson lanciò la sfida: “proviamo a pensare come se le relazioni vengano prima”, e all’inizio di questo Fritjof Capra, nel suo splendido “la rete della vita” fu facile profeta nell’indicare negli anni a venire il passaggio dell’attenzione dai nodi (l’essenza) a ciò che li collega (le relazioni) come spiegativo del vivente. Il “secolo del gene” era al tramonto, si apriva la ricerca su ciò che connette.

Poi la ricerca è andata avanti, ma non immaginavo fino a questo punto. Quasi per caso mi sono imbattuto nel bell’articolo di Alessandro Rossi su Micromega 5/2015 “La materia dell’anima: il connettoma”, e ho scoperto che in giro sull’argomento c’era anche da un paio di anni un libro di Sebastian Seung (il guru dell’argomento) “Connettoma. la nuova geografia della mente” edito da Codice.

Sono il mio connettoma? Naturalmente no. Ma ciò che io identifico come “me” secondo me sì.

la ricerca è in corso, e c’è anche un progetto di mappatura del connettoma. Sono rimasto impressionato. Che piaccia o meno il futuro va da quella parte e, azzardo una previsione, questa è la strada che da qui a trent’anni ci porterà agli androidi.

E’ un bene o un male? Chi può dirlo, questo è il futuro prossimo. Per fortuna, non il mio.

Per farsi un’idea si può guardare questo video:https://www.ted.com/talks/sebastian_seung?language=it

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I porcospini di Schopenhauer 2.0

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Ci metto il copyright, è una metafora che ho costruito e mi pare efficace: dove la discuto suscita sempre interesse e dibattito.

Il noto filosofo pose il dilemma del porcospino: affermando che tanto più due esseri si avvicinano tra di loro e tanto più si feriranno a causa degli aculei sulla schiena. L’analogia con gli umani porta a pensare che tanto più ci si avvicina all’altro tanto più è alto il rischio di venire feriti.

La metafora però presuppone che prima esista il soggetto che poi entra in relazione con l’esterno che era data per scontata ai tempi del filosofo (non mi dilungo qui, rimando alla lettura dell’intervento che ho inserito nel post precedente). Se si accetta per buona l’ipotesi dell’unitarietà del soggetto, produttore attivo dell’esperienza che sta vivendo allora il discorso non regge più.

Oggi si deve pensare differente: siamo piuttosto come porcospini che hanno sì gli aculei, ma per dentro. Fuori, a contatto con l’esterno e con gli altri c”è una membrana sensibile che ricerca la vicinanza, il contatto. ma la pressione della vicinanza causa il contatto interno con aculei (nostri) con cui ancora non siamo riusciti a fare i conti e ammorbidirne le asperità.

In altre parole: non è mai l’altro a ferirci. Ciò che ci fa soffrire sono tutte cose nostre che si muovono e toccano le parti più interne, attivate dalla pressione causata dal contatto con l’altro. La sofferenza così cambia significato e diventa un segnale: qualcosa del tipo “vacci piano, perchè a quelle vicinanze non sei ancora pronto, ci devi ancora lavorare su..”.

(nella foto: un graffito di ROA, noto street artist britannico, colta durante un recente viaggio)

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Il “se..” è da sfigati, la vita è nonostante

è una scritta su un muro che ho trovato tempo fa, non so chi sia l’autore.

Corrosiva, cinica, apparentemente irrispettosa ma al contrario carica di speranza. è stato il perno del mio intervento al Festival della Complessità.

Ho promesso che lo avrei scritto, e così ho fatto, rimaneggiato un po’ in seguito alla discussione che ne è seguita. Perchè è stata una bella conversazione.

lo si può leggere cliccando qui:  intervento Festival Complessità Milano 2015

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Complessità e psicoanalisi

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Complessità è una parola problema, e non una parola soluzione, affermazione di Edgar Morin che abbraccio in pieno.

Negli anni mi è servita da guida per elaborare un pensiero e un’ottica differente. Oggi la frequento più di rado, ma all’occorrenza ci ritorno per fare più luce su nuovi pensieri.

Anche quest’anno si svolgerà il Festival a lei dedicato, e anche quest’anno non pensavo di parteciparvi diffidando un po’ dei complessologi, ma quest’anno Marcello Florita, l’organizzatore degli eventi a Milano, mi ha invitato a discorrere di mente e corpo in psicoanalisi. Marcello lo conosco da tempo, non sono molto d’accordo con le sue idee ma è bravo e si impegna parecchio, così ho detto di sì. A convincermi è stato il fatto che sarà una conversazione, e conversare è sempre buono, ne si esce sempre con qualcosa in più.

Qui sotto il calendario della giornata:

http://www.dedalo97festivaldellacomplessita.it/component/content/article/1-ultime/96-milano.html

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Incontri interessanti

Girovagando in libreria mi trovo in mano “Dovremmo essere tutti femministi”, un agile libretto edito da Einaudi  di un’autrice che, ammetto l’ignoranza, non solo non sapevo esistesse ma faccio ancora fatica a pronunciarne il nome: Chimamanda Ngozi Adichi.

Riconosco l’enorme problema della diseguaglianza di genere e di quanto ancora ci manca per schiodarci da stupidi retaggi del passato che ancora ci mordono i polpacci, e nel mio piccolo agisco per cancellare queste differenze, ma in genere il femminismo non è tra i temi al centro della mia ricerca.

Tuttavia il libretto è interessante e lo leggo in giornata. Per la semplicità e l’ironia con cui tocca il punto, richiamando tutti a calarlo dentro il proprio quotidiano in un esercizio costante che ha a che fare con il rispetto delle differenze, tema questo che sì, mi tocca da vicino.

Non è corretto dire che si devono rispettare le donne, che già solo a dirlo si crea una sorta di sottogruppo. Si deve rispettare tutti. E Chimamanda non chiede rispetto in quanto donna, chiede rispetto in quanto lei che è una donna.

Poi ho scoperto che il libro è il verbatim della sua TED-conferenza, pure con i sottotitoli in italiano.

eccola qui:

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Le madri di Recalcati

Vicino/Lontano, incontro di idee e pensieri che si tiene annualmente a Udine in questo periodo. Quest’anno hanno invitato anche Massimo Recalcati, psicoanalista molto noto per i suo numerosi libri. In genere diffido di chi scrive troppo, ma Marina Valcarenghi mi aveva parlato molto bene di lui, così decido di andare a sentirlo. Marina non sbaglia, e di sicuro come clinico è un grande. Ma come scrittore – ho letto qualcosa sulla figura del padre –  mi aveva lasciato un po’ perplesso.

Presenta il suo ultimo libro “Le madri”. Chiesa di San Francesco gremita, Buio, lui da solo sul palco. Non c’è che dire, è un ottimo oratore, tiene la sala in mano, tutti senza fiatare, non suona nemmeno un cellulare.

L’occhio della madre in-forma quello del figlio, dice, e quest’ultimo impara a guardare il mondo dagli occhi della prima. Una madre depressa, dice chiuderà l’orizzonte del figlio. Il figlio, continua, impara ad amare dalla madre, saprà amare per come ha imparato ad essere accarezzato, tenuto, amato dalla madre. A sostegno delle tesi, cita anche alcune ricerche molto note, come ad esempio la “Still face” di Tronick, in un modo però non proprio rigoroso e che mi pare molto pro domo sua.

Naturalmente chi mi ha letto fin qui sa che non sono d’accordo (rimando ad esempio al mio post su Galimberti), e ridacchio tra me e me, pensando a tutte le persone che ho conosciuto che hanno avuto la madre disastrata peggio della centrale di Fukushima ma dotate di una sensibilità e apertura che io nemmeno mi sogno, e mi torna alla mente un’intuizione eccezionale di James Hillman, che disse “da madri di ogni tipo sono nati figli di ogni tipo”.

Resto tuttavia, curioso di vedere come va a finire. Perchè se è la madre che forma il figlio implicitamente Recalcati sta dicendo alle numerose madri presenti (l’uditorio è prevalentemente femminile, che sia un caso?) “se tuo figlio ha problemi è colpa tua”.

Ultime battute, stiamo arrivando alle conclusioni, penso: “appena finisce queste si alzano in piedi e iniziano a fischiarlo, gli tireranno addosso i pomodori, speriamo non lo aggrediscano..”.

Invece no. Scrosci di applausi.

Mah…

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Novecentocinquanta

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Vita più, vita meno.

Non sono i primi, non saranno gli ultimi.

Ciò che fa notizia è il numero, spaventoso, ma ce n’è ogni giorno.

E, con i piedi appoggiati su solido terreno scrivo.

Non per indignarmi, che in questo caso non serve a niente.

Non per reclamare che qualcuno faccia qualcosa, che ce n’è già troppi.

Nemmeno per scuotere la testa davanti ai furbini che lo sfruttano a fini propri, che anche quello non serve.

Ma per dire il mio sconcerto davanti al fatto che tra una settimana ce ne saremo tutti dimenticati.

Magari proviamo a immaginare che lì c’era anche un nostro amico, un parente, perlomeno un conoscente.

Si va avanti lo stesso, ma ricordare aiuta.

“Siamo gli innumerevoli, raddoppio a ogni casa di scacchiera / lastrichiamo di scheletri il vostro mare per camminarci sopra”

(Erri De Luca, 2005)

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