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Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere

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E’ la stra-citata conclusione del Tractatus.

Vero, Wittgenstein si riferiva ad altro, ma seguendo la video-intervista (cliccabile in fondo al post) ad una delle psico più conosciute in Italia l’affermazione torna prepotentemente in mente.

Un ragazzo si butta dalla finestra perchè gli trovano 10 grammi di Hashish in casa. In sè l’evento richiede tutta la compassione di cui possiamo essere capaci: quanta fragilità, disperazione, sofferenza c’è dietro (a lui e tutta la famiglia) dio solo lo sa. Ed è solo un’altra evidenza del malessere diffuso che cresce sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno, e che costringe tutti, ma proprio tutti, ad interrogarsi su cosa sta succedendo e magari chiedersi come, ognuno di noi, si è reso responsabile di quella morte, magari non facendo proprio niente.

Immancabile invece l’intervista alla psicoguru (con tanto di zoomate su alcuni suoi libri, che in questo contesto fa rabbrividire). E quale è la verità che ci viene rivelata? Che i nostri ragazzi sono fragili, che dobbiamo parlare con loro, coinvolgerli in attività sane e spiegargli che drogarsi fa male (!).

No, così non si fa.

Per vedere l’intervista clicca qui: Repubblica intervista Anna Oliverio-Ferraris

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Stay Human

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All that we share.

Me lo hanno girato, l’ho visto e l’ho trovato emozionante. Un video da vedere, rivedere e, dati i tempi che corrono, far girare il più possibile.

Chi lo avesse perso lo trova qui: All that we share

 

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Uno sguardo “social”

 

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Muovo i primi passi al di fuori del mio terreno abituale di ricerca, in cui da vicino osservo le singole linee di vita, per osare una prima lettura sulla società e la sua produzione dello star bene o stare male. L’intenzione è, da qui in avanti, di proseguire la ricerca e il fare non solo dentro lo studio ma nella comunità.

Naturalmente chi mi ha già letto fin qui ci troverà molto di familiare.

Il testo è leggibile cliccando qui: sguardo-social

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Ricordare cosa?

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Qualche anno fa sono andato ad Auschwitz, esperienza che almeno una volta nella vita si deve fare (due no..).

Mi aveva colpito moltissimo osservare alcuni, all’interno del campo parlare di telefonini, oppure una madre – giuro è vero, ho testimoni.. – dire al figlio piccolo “mangia il panino, pensa a quei poveri bambini che venivano qui e non avevano da mangiare..”.

Avevo attribuito queste follie ad una sorta di anestesia, del tipo “troppo dolore, non lo reggo e così scappo e mi estraneo da dove sono..”.

Sbagliavo, e di parecchio.

Oggi sono d’accordo con lo sguardo che ci offre “Austerlitz”, il tremendo docu-film di Loznitsa. Non c’è niente da anestetizzare, e anche la visita ad un campo di concentramento è un’attrazione, al pari di tante altre: il tempo di un selfie e via a scivolare su altro. Non c’è niente da ricordare, perchè non c’è memoria, non ne siamo più capaci.

Lo so, non dico nulla di nuovo, già Guy Debord, in altri tempi ci aveva messo in guardia. Non lo abbiamo ascoltato (come per tanti altri), ed eccoci qua, in posa davanti ai pali della fucilazione per una foto ricordo. Questa civiltà è ormai arrivata al capolinea? Cos’è rimasto di umano?

Un bell’articolo e un pezzetto del film si possono vedere qui: Austerliz

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Ciao Zygmunt

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Non era tra i miei riferimenti principali, ma di certo è stato un uomo importante,  controcorrente, che ha saputo guardare e dirci meglio di altri quello che stava succedendo sotto i nostri occhi.

Un bel commento lo si può leggere qui: Bauman

Grazie a Laura che me lo ha segnalato.

 

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Sempre contro ogni dualismo..

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Olga Spagnuolo è una psicoanalista romana con cui ho avuto il piacere di collaborare in un paio di occasioni. Oltre ad essere una persona davvero piacevole è tra i pochissimi che cercano di pensare ed agire a partire da una prospettiva unitaria del Soggetto (a chi giunge nuova e vuole approfondire consiglio la lettura dei post precedenti in particolare “domande e risposte”).

Recentemente è intervenuta ad un convegno sulla dissociazione. Il tema non mi appassiona granchè, ma è sempre un’ottima occasione per irrobustire lo sguardo da una prospettiva ancora troppo poco nota e maneggiata. Lo posto quindi volentieri. Si può leggere cliccando qui: spagnuolo

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Pensare un mondo migliore

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Ieri ho comprato la Repubblica per vedere com’è il nuovo inserto della Domenica.

Ci ho trovato il discorso che Zadie Smith ha tenuto a Berlino in occasione del ritiro di un premio. Semplice e bello, da leggere, assolutamente. E da far leggere.

Per chi non riesce a rintracciarlo ho trovato in rete la sua versione in inglese: http://www.nybooks.com/articles/2016/12/22/on-optimism-and-despair/

Appena trovo quella in italiano la aggiungo.

Grazie a Dario (vedi il commento a questo post) aggiungo la versione italiana: Ottimismo e disperazione

 

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La cura

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A Salvatore Iaconesi avevano diagnosticato un cancro al cervello. Poteva “fare il paziente”, mettendosi nelle mani dei medici e aspettare. Ha fatto altro, rifiutandosi di delegare a chiunque la sua sofferenza ma appropriandosi di quello che gli succedeva ha fatto altro, e gli si è aperto un altro mondo davanti, pieno di vita. Qui sotto il suo racconto: il tempo speso ad ascoltarlo è un ottimo investimento.

 

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Il fare bello

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Ogni tanto capita in mano un libretto che vale molto di più dei soldi che costa e del tempo speso a leggerlo, e offre prospettive altre, da cui tornare a guardare alle proprie con occhi leggermente differenti.

Enrico Sello è un architetto friulano che, siccome nessuno lo intervista ha deciso di intervistarsi da sè, e questo libro ne è il risultato.

Cito un passaggio che da solo vale l’acquisto, che rileggo nella mia pratica ma credo possa essere calato nella pratica di chiunque, diventando un modo di agire:

Sembra così che il mondo del fare, del costruire, sia la cosa più importante per un architetto. Ma quello da solo non basta: ci vuole l’energia dell’architettura, del fare bello. Una cosa di cui non si tiene abbastanza conto è quella che alle persone cui fai una casa tu, con quello che fai, cambi la vita, modifichi le loro abitudini, inventi nuovi spazi, nuove regole. Se sbagli il tiro, allora avrai solamente assecondato le loro aspettative, e non sarai stato capace di migliorare la loro vita, di far loro intravvedere modi, saperi e sapori che non si aspettavano. E’ questo il sommo compito. Se avrai sbagliato rimarranno solo i luoghi comuni e le banalità di un bagno grande e della cabina armadio, che sono adesso il top della richiesta del cliente, come prima erano quello della taverna o della cucina abitabile…

 

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Un altro libro

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Michele Minolli (rimando chi non sa chi è ai miei post precedenti) ha scritto un altro libro.

Il tema è la coppia, il suo ambito di ricerca privilegiato di questi ultimi anni, perchè, dice, lì vien fuori la dimensione reale dell’Io-soggetto. Ho qualche perplessità al proposito, ma di certo è un pensiero che ha una sua logica. E in ogni caso la sua è sempre una voce che merita ascoltata, così anche questo è per me un libro da acquistare e leggere.

Cito un breve passaggio dall’introduzione, che mette bene a fuoco la prospettiva da cui guarda il mondo:

L’Io-soggetto non sa chi è nè tantomeno lo sanno gli altri. Le specificità e le caratteristiche che fanno dell’Io-soggetto quell’Io-soggetto non sono note nè agli altri nè a lui. Solo gi investimenti, in quanto espressione dell’unità dell’Io-soggetto, esprimono e rendono conoscibile la sua configurazione.La conoscenza umana è limitata e conosce solo attraverso i fatti. Che siano esperimenti di laboratorio o situazioni naturali è solo a posteriori che la conoscenza può emergere e progressivamente arricchirsi.

(Lo scopriremo solo vivendo…)

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