Domande e risposte 2

G. è un analista molto attento e interessato. Non sono d’accordo con le sue riflessioni perchè si ispira all’empatia come pilastro della sua pratica, e che l’analista è un po’come Virgilio che deve accompagnare il paziente attraverso l’inferno; tutti principi che io non condivido. Leggendo il mio scritto mi ha chiesto di spiegargli un po’ meglio il mio pensiero, approfondendo il punto cruciale del perchè della sofferenza. Lo scritto che segue è la risposta alla sua domanda.

Lo si trova cliccando qui: Risposta a G.

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Domande e risposte

Ho ricevuto una critica al mio scritto (vedi post precedente) da parte di uno Psicoanalista. La sua impressione è che le mie considerazioni valgano nel caso di pazienti piuttosto sani, ma quando abbiamo a che fare con una certa gravità, che sta diventando la regola per la maggior parte delle persone che chiedono aiuto, non sia una soluzione praticabile, e che serva invece un “combattimento corpo a corpo” con le emozioni devastanti che queste persone vivono. E si arriva ad una condizione migliore solo vincendo battaglie contro formidabili paure ed estenuanti condizionamenti che durano da una vita. Invitandomi a portare casi clinici a sostegno delle mie idee mi chiede come quindi ha da lavorare l’analista per facilitare l’appropriazione di sé.

A me i “non sono d’accordo” piacciono sempre molto, perché sono uno stimolo per approfondire e magari accorgersi di qualche buco nella propria teoria. Così ci ho lavorato su e gli ho risposto.

Il testo è leggibile qui: Risposta a L.

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Ancora sulla sofferenza..

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Pubblico un mio recente intervento ad un convegno. E’ la versione rimaneggiata di un mio scritto precedente già pubblicato; tuttavia qualcosa di nuovo c’è.

Lo si trova qui: Convegno 2015 Schneider Versione Articolo

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Contro l’empatia

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Detto così sembra provocatorio, e in parte è vero: l’intento è di porsi contro l’abuso di questo termine e di tutto ciò che veicola, a partire da una certa etica della felicità che ha contagiato larghe settori della filosofia e della psicologia.

Non l’empatia di Rizzolatti, che ne parla dentro altri e ben importanti contenitori, ma contro una certa Folk Psychology che si fonda sull’idea che si possa sentire, entrare dentro il vissuto dell’altro.

Non ci credo. Ognuno vive il mondo a partire da sè e tutto ciò che prova è roba sua. L’altro? esiste, ma non posso sentire cosa prova lui.

Io non sono l’altro, ma è anche vero che io non sono Io (nel senso solipsistico di un Io che esiste indipendente).

Io sono l’altro fatto mio (Michele Minolli è l’autore dell’affermazione, in cui mi ritrovo pienamente).

Invito, per farsi un’idea “contro”, alla lettura di questo articolo:

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2015-06-21/nei-tuoi-panni-no-grazie-081408.shtml?uuid=AC8QsRE

 

 

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Giornata di studio sul pensiero di Michele Minolli

immagine volantino

Ho organizzato per sabato 28 maggio una giornata di studio sull’Io-soggetto, concetto per una Psicoanalisi della Relazione (o è già tempo di chiamarla Post-Psicoanalisi?).

Giornata per addetti ai lavori, non solo psicoanalisti ma per tutti coloro che si occupano della sofferenza degli altri. Oppure per appassionati all’argomento.

tutte le info al sito: http://sipreonline.it/lio-soggetto-e-linterazione/

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Il Blog di Gianpaolo Scano

scano

Mi ha scritto Gianpaolo, di cui ho parlato già qualche Post indietro. Mi ha informato di avere recentemente aperto un Blog.

Lo segnalo volentieri. Merita sempre leggere cosa scrive. E nella main page ha scritto di essere”Contro ogni dualismo“, coraggiosamente.

il suo sito è questo: http://www.gianpaoloscano.it/

 

 

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Marina Valcarenghi a Udine

Marina-Valcarenghi

Marina Valcarenghi è una bella persona, che ho avuto modo di conoscere un paio di anni fa, e da allora siamo sempre rimasti in contatto.

Verrà a Udine per due giornate di formazione, aperte a tutti, organizzate per sabato 27 febbraio e sabato 19 marzo. Segnalo ben volentieri l’evento, ogni informazione a questo indirizzo:

http://www.t-a-o.it/project/marina-valcarenghi/

 

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Nuovi spunti per la ricerca sulla sofferenza

snoopy sofferenza

La ricerca continua,

e ogni tanto sorridere aiuta..

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Piccole soddisfazioni

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Fa piacere, perchè è una rivista intelligente.

Fa piacere, perchè si rivolge ad un pubblico di non addetti ai lavori contribuendo a diffondere un vaccino contro i luoghi comuni privi di fondamento, come ad esempio la voce circolante che dice le terapie cognitivo-comportamentali sono le più veloci ed efficaci mentre la psicoanalisi è lunga e scava inutilmente nel profondo (concetti che mi fanno rabbrividire, e peraltro mi viene in mente che non ho mai scavato niente anche perchè non so come si fa).

Non significa certo che è invece la psicoanalisi sia migliore: del verdetto di Dodo gli addetti ai lavori sapevano già, e quello che penso al proposito l’ho scritto nella pagina dedicata al modello teorico.

Molto probabilmente non è una questione di tecnica e quindi non è possibile dire che questa scuola è migliore di quella. Molto probabilmente è una questione che riguarda il terapeuta. Molto probabilmente ha a che fare con una certa umanità.

PS: poi ai giornalisti si dovrebbe spiegare che la psicoanalisi non si è fermata agli anni ’60.. Lettura consigliata: Owen Renik: “Psicoanalisi pratica per terapeuti e pazienti”, Cortina ed.

PS: la recensione dell’articolo citato (uscito sul “Guardian”) è stata ripresa anche da “Repubblica”: http://www.repubblica.it/salute/medicina/2016/02/03/news/nella_guerra_delle_terapie_la_rivincita_della_psicanalisi-132614246/

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Nuovi (mediocri) demoni

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Ricercando sul tema della sofferenza ho incontrato questo libro. Traccia una linea storica molto interessante da una concezione del male (e dello star male) “radicale” ad una contemporanea “normale”.

La prima è quella cui eravamo abituati, sostenuta dalla visione dualista bene-male, vita-morte, dove la sofferenza è tutto ciò che priva di vita e la vitalità. La seconda è quella di un male (e sottolineo di nuovo, star male) collegato al conformismo, al non pensare, alla superficialità di una vita che non riesce a mettere al centro nient’altro che la sicurezza della sua sopravvivenza. Questo è un passaggio cruciale, e per il nostro tempo quantomai attuale e da esplorare.

In fondo la Forti non dice molto di nuovo, ma intreccia in modo sapiente il pensiero di due filosofi a me molto cari: la Arendt della “Banalità del male” e il Foucault del “Coraggio della verità”.

Cito due passaggi, che da soli meritano lettura e rilettura:

il primo è della Arendt: “Il male ha senza dubbio a che fare con il deterioramento di questa capacità [di pensare]. I più grandi crimini a cui oggi abbiamo assistito sono commessi da coloro che non ricordano, semplicemente perchè non hanno mai pensato … Ciò che chiamiamo persona, in quanto diverso da un semplice essere umano che può essere chiunque. è in realtà ciò che emerge da quel processo di radicamento che è il pensiero“.

Il secondo è un richiamo a Foucault: “la sfida dell’ultimo Foucault si articola nella ricerca di una auto-determinazione possibile che, in contrasto nto con l’etero-determinazione del soggetto cristiano e obbediente quanto con l’assolutezza dell’autonomia kantiana, eviti il riferimento a una legge universale e necessaria. L’autonomia non va infatti perseguita nei termini di una auto-affermazione ma in quelli di una continua possibilità di revoca del potere che l’autorità dell’altro – maestro, direttore, Dio sovrano o semplicemente contesto politico-sociale pretende di esercitare su di noi. In questo senso l’etica della cura di sè è in prima istanza la rivendicazione della libertà, di una libertà intesa come poter essere altrimenti da tutto ciò che pretende di essere necessario, senza davvero esserlo”.

Provo a riassumere con uno slogan: “Il devo non esiste. è tutta una questione di scelte”.

Temi sorpassati? non credo, anzi mi pare siano quantomai attuali. E’ passato pochissimo tempo da quando ho letto un’intervista al bancario che ha proposto al sottoscrittore che poi si è suicidato in seguito al fallimento dell’Istituto, un documento in cui in pratica si accettava l’altissimo rischio dell’investimento (vero che poteva leggere, ma quanti di noi leggono tutte le clausole dei contratti bancari o assicurativi?)

In quell’intervista il bancario sosteneva che lui non aveva colpe, e che aveva dovuto fare così, su ordine esplicito dei superiori. Non entro nel merito e naturalmente non giudico, e so che il paragone può sembrare aberrante e fuori luogo, ma come si fa a non ricordare che erano le stesse argomentazioni di Eichmann quando gli hanno chiesto di rendere conto di Auschwitz?.

E se invece tutti si assumessero in prima persona la responsabilità del loro agire? In ogni singola, piccola azione quotidiana.

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